Quale modello per il brand nell’epoca dello storytelling e della web reputation?

Ricercando nel web alla voce “modelli di branding”, su Wikipedia si trova una pagina che descrive sinteticamente numerosi modelli da applicare ad una brand, da Kapefer a Seguelà, da Floch a Semprini e via dicendo.

Questi modelli sono il frutto di studi basati sulle esperienze del marketing e della pubblicità quasi sempre a partire dagli anni ’60 fino alla fine del secolo e conservano ancora una loro validità concettuale.

Tuttavia il contesto attuale è profondamente cambiato e l’avvento di internet e dei nuovi media, con la velocità dei cambiamenti imposti, fanno sì che alcuni punti di questi modelli abbiano bisogno di una rivisitazione più o meno approfondita.

Le strategie della narrazione o dello storytelling, per usare un termine molto in voga, e la nascita della web reputation come si forma nelle piazze virtuali, logica conseguenza dei social network, richiedono ad una brand qualunque essa sia, una elevato dinamismo nel concepire strategie ed attività di comunicazione.

Inoltre è da sottolineare l’importanza della “responsabilità sociale”, un fattore che assume importanza crescente agli occhi del consumatore e che entra nel patrimonio dei valori intangibili della marca.

Buona parte dei modelli riportati su Wikipedia invece sembrano denotare una certa “staticità” e mostrano i segni del tempo ignorando i fattori citati nel paragrafo precedente, fattori che non è un azzardo definire ormai imprescindibili.

Partiamo da uno dei modelli più dettagliati  come il Brand Care System della GPF & A. (Gian Paolo Fabbris & Associati), un ottagono del brand che ne definisce il territorio a 360 gradi, per sviluppare alcune considerazioni.

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Mentre nelle dimensioni experience, product benefit, value for money, brand fingerprint, icon, possiamo individuare un riferimento agli aspetti più “tangibili” di una marca, per Intangible, Brand personality e Competence invece (quelli cerchiati in rosso), forse sarebbe opportuno pensare ad una “revisione” nel senso esposto di seguito:

  • Reputazione come tutto ciò che del brand è presente nella memoria collettiva, ovvero le tracce di episodi passati, i comportamenti tenuti in presenza di fatti sociali o di eventi critici, la posizione assunta sui temi della responsabilità sociale, racconti e luoghi comuni che circolano tra la gente, la credibilità e affidabilità percepita anche come risultante del sistema dei media;
  • Identità risultante dal sistema dei valori, dal rapporto con i sistemi normativi, dai comportamenti dell’azienda e dei suoi componenti che vengono manifestati e tradotti, “visualizzati” al pubblico degli stakeholder;  
  • Mission, scopi e obiettivi perseguiti dal brand e raccontati all’opinione pubblica, il rapporto tra gli obiettivi dell’azienda e il contesto sociale del momento, la sensibilità alle criticità esistenti e la disponibilità a farle proprie, un racconto che dimostri trasparenza e sostenibilità tra gli interessi del brand e il corpo sociale;
  • Azioni e risultati per raccontare nel tempo quanto fatto e quali benefici derivanti alla società, non solo dunque la fredda e a volte decontestualizzata pubblicità dei propri prodotti che in taluni momenti arriva fuori luogo e quasi cinica agli occhi dei consumatori;
  • Relazioni intersoggettive che oramai si possono e si devono instaurare direttamente con il pubblico degli stakeholder mediante i social network; deve essere un rapporto diretto, schietto, trasparente, dove il brand sappia assumersi le responsabilità di errori imponderabili o inevitabili e dimostri di sapersene assumere gli oneri.

Crediamo che siano questi gli aspetti attraverso il quale costruire senza formule magiche uno Storytelling efficace che conduce poi anche ad avere una web reputation adeguata.

Chiudiamo queste brevi note aggiungendo un’immagine che abbiamo trovato in rete (nell’immagine  è riportato il link di origine) e che mostra l’evoluzione di un brand nelle varie fasi del passaggio da trademark a socialmark.

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Se nel “Clue Train Manifesto” una delle tesi fondanti è che “i mercati sono conversazioni”  allora diventa imprescindibile per un brand essere presente e costruire la propria reputazione nei luoghi dove queste conversazioni nascono e la rete, nel bene e nel male, è ormai diventata il luogo virtuale dove buona parte di queste conversazioni si svolgono.

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